
La persona fisica non coniugata che lavora all’estero
Un soggetto persona fisica, non iscritto all’AIRE, e iscritto alle liste anagrafiche di un comune italiano, vive dal 2009 in Inghilterra, prima per motivi di studio e successivamente per motivi lavorativi.
E’ bene precisare che la famiglia di origine del soggetto in esame vive in Italia.
La mancata iscrizione all’AIRE potrebbe indurre l’Amministrazione finanziaria a considerare il soggetto in esame fiscalmente residente in Italia.
Si chiede quale sia il comportamento da adottare ai fini dichiarativi.
Risposta
In via preliminare, è bene precisare che l’art. 3, co. 1 D.P.R. 917/1986 stabilisce che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.
In base alla disposizione richiamata, se una persona fisica è considerata residente in Italia, è tassata sui redditi ovunque prodotti (worldwide principle) mentre una persona non residente è tassata esclusivamente sui redditi prodotti in Italia.
Dunque, per verificare il paese che detiene la potestà impositiva sui redditi del soggetto in esame, sarà necessario stabilire la residenza fiscale del soggetto.
A tal fine, è necessario analizzare il disposto convenzionale ed in particolare la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e il Regno Unito.
Infatti, come noto, le Convenzioni essendo accordi tra più stati prevalgono sulla norma interna.
La Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Regno Unito, all’articolo 4, paragrafo 1 definisce il concetto di “residenza”.
In particolare, la disposizione richiamata afferma che “l'espressione residente di uno Stato contraente" designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, e' assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione e di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito proveniente da fonti situate in detto Stato”.
La norma in commento detta i principi per la configurazione della residenza fiscale rinviando alle norme interne dei paesi contraenti la puntuale definizione della stessa.
Di conseguenza, è necessario esaminare le disposizioni italiane ed inglesi sulla residenza fiscale.
Esamineremo in primis quando un soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia.
L’articolo di riferimento è l’articolo 2 del Tuir.
In particolare, il citato articolo, dopo aver stabilito al comma 1 che soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dispone al successivo comma 2 che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno, nel territorio dello Stato, il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.
La norma qualifica un soggetto come residente in Italia quando lo stesso, per la maggior parte del periodo di imposta, è in possesso di uno dei seguenti requisiti:
1. iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente;
2. domicilio nel territorio dello Stato;
3. residenza nel territorio dello Stato.
In base all’art. 43 del codice civile il domicilio è definito come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.
Il domicilio consiste in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi.
Peraltro, la locuzione affari e interessi deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari.
La residenza, invece, è intesa come il luogo in cui una persona ha la dimora abituale; in particolare, la residenza è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi.
Come precisato nella C.M. 2.12.1997, n. 304/E, dal dettato testuale della norma emerge chiaramente che i predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti: sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.
Nel caso in esame, il soggetto è iscritto alle liste anagrafiche della popolazione residente e, pertanto, sarà considerato fiscalmente residente in Italia.
Si ricorda, infatti, che il verificarsi di uno solo dei requisiti esaminati fa sì che un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.
Ai fini della determinazione della residenza fiscale nel Regno Unito, si dovrà far riferimento alla normativa interna.
In base alle informazioni in nostro possesso si può ipotizzare che:
· data la lunga presenza nello stato estero;
· data la produzione di redditi in loco;
anche il paese estero consideri il soggetto ivi fiscalmente residente.
Di conseguenza, alla luce delle considerazioni effettuate, il soggetto in esame potrebbe essere considerato fiscalmente residente in entrambi i paesi.
Tale fattispecie è espressamente disciplinata dalle norme Convenzionali.
In particolare, l’articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione con il Regno Unito prevede che “quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione e' determinata” facendo riferimento ai seguenti elementi nell’ordine proposto:
Ø abitazione permanente;
Ø centro degli interessi vitali;
Ø soggiorno abituale;
Ø nazionalità;
Ø comune accordo degli stati.
In sostanza, qualora il soggetto venga considerato fiscalmente residente in entrambi i paesi, si dovrà far riferimento, in primis, al concetto di abitazione permanente.
Sul tema, il commentario al modello OCSE 2010 fornisce utili indicazioni.
In particolare, si prevede che un soggetto possegga un’abitazione permanente in un paese:
Ø con riferimento sia ad una casa di proprietà ovvero posseduta in locazione;
Ø qualora disponga di un’adeguata organizzazione che gli consenta una lunga permanenza.
I criteri indicati nel Commentario ci permettono di ipotizzare la configurazione dell’abitazione permanente in entrambi i paesi.
Infatti, il soggetto in esame:
Ø lavora in Inghilterra per la maggior parte del periodo d’imposta e, pertanto, disporrà di un’unità abitativa;
Ø dispone di un’unità abitativa in Italia, di proprietà del padre, che gli consentirebbe lunghe permanenze in Italia.
Il soggetto in esame possiede dunque un’abitazione permanente in entrambi gli stati.
Si dovrà far riferimento, allora, al centro degli interessi vitali; il centro degli interessi vitali è individuato analizzando sia le relazioni professionali sia le relazioni personali.
Per quanto riguarda le relazioni economiche, lavorando solo all’estero si potrebbe supporre che gli interessi professionali siano all’estero[1].
Si evidenzia, tuttavia, che la disponibilità di risorse finanziarie, immobili, ecc…, potrebbe attrarre le relazioni economiche in Italia.
Inoltre, per ciò che attiene le relazioni personali del soggetto, questo:
ü non è sposato;
ü la famiglia di origine risiede in Italia (relazioni personali).
Dall’analisi proposta sembrerebbe poter individuare il centro degli interessi vitali in entrambi i paesi.
Tuttavia, è bene precisare che bisognerà verificare concretamente e dettagliatamente gli interessi personali ed economici del soggetto in Italia.
Ipotizzando che non si riuscisse a stabilire in modo univoco il paese nel quale è presente il centro degli interessi vitali, si dovrà far riferimento alle lettere b) e c), del paragrafo 2 dell’articolo 4 della Convenzione.
Tale disposizione prevede, al fine di determinare la residenza fiscale del soggetto, il riferimento alla dimora abituale o, in mancanza, alla nazionalità del soggetto.
La dimora abituale si riferisce alla presenza fisica del soggetto sul territorio per la maggior parte del periodo d’imposta; questa sarebbe presumibilmente rinvenibile nel paese estero.
Di conseguenza, il soggetto potrebbe dimostrare la residenza fiscale all’estero.
Sintetizzando, per definire la residenza fiscale del soggetto (considerato fiscalmente residente di entrambi i paesi) si deve analizzare, in primis, dove il soggetto dispone di un’abitazione permanente; se dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli stati si deve esaminare dove è presente il centro degli interessi vitali.
Se non è possibile definire il paese nel quale è presente il centro degli interessi vitali si deve verificare dove il soggetto è fisicamente presente per la maggior parte del periodo d’imposta (dimora abituale).
Nel caso in esame, si ritiene che lo stesso possa essere considerato fiscalmente residente all’estero.
In tal caso, si consiglia l’iscrizione all’AIRE.
[1] Si evidenzia, tuttavia, che l’accredito del compenso sul c/c italiano potrebbe attrarre il centro degli interessi professionali in Italia.